Posts Tagged ‘canzoni che avrei voluto scrivere’

Canzoni che avrei voluto scrivere: ‘A finestra’


27 Feb

Devo dire che Carmen Consoli non è una tra le mie cantanti preferite, ne riconosco il valore e alcune cose mi piacciono.

Tuttavia ho subito un (piacevole ma) forzato ascolto negli anni in cui ho vissuto a Catania, per sciovinismo dei miei amici e musicisti 🙂

Ma venendo alla canzone, la trovo davvero un capolavoro. Quando si scrive un brano, credo che la difficoltà sia nella sintesi, nella musicalità e nel riuscire ad evocare quello che vorremmo rappresentare. Alcune di queste cose ovviamente sono soggettive, ma vivendo quei luoghi e respirando quel folklore, all’ascolto sono stato pervaso dai ricordi e dall’atmosfera, quindi credo di aver colto molto di quello che la Cantantessa ha voluto rappresentare.

La musica è puro folk con la contaminazione mediorientale del vocalizzo arabbegiante. Ma quello che rende speciale la canzone è il testo che andremo a leggere, tradurre e commentare:

Sugnu sempri alla finestra e viru genti ca furria pà strada
Genti bedda, laria, allegra, mutriusa e siddiata
Genti arripudduta cu li gigghia isati e a vucca stritta
“Turi ho vogghia di quaccosa, un passabocca, un lemonsoda”
Iddu ci arrispunni: “Giusy, quannu ti chiamavi Giuseppina,
eri licca pà broscia cà granita”
“Turi tu n’ha fattu strada e ora che sei grosso imprenditori
t’ha ‘nsignari a classi ‘ntò parrari”

Sono sempre alla finestra e vedo gente che gira per la strada,
gente bella, brutta, allegra, arrabbiata, seccata
gente “(ben)riuscita” con le ciglia alzate e la bocca stretta:
« Turi ho voglia di qualcosa, un passabocca, una Lemonsoda »
Lui le risponde: ” ‘Giusy’, quando ti chiamavi Giuseppina,
ti piaceva la brioche con la granita!”
“Turi, tu ne hai fatta di strada, e ora che sei un grosso imprenditore
devi imparare a parlare con classe”

In questa prima strofa i passi notevoli sono la descrizione della gente, sopratutto a cigghia isata e a vucca stritta, rende l’idea degli anziani bisbetici che logori di una vita di sacrifici, disapprovano i tempi attuali e “i giovani”.

L’altra figura è la coppia costituita dall’imprenditore arricchito e la sua compagna (presumibilmente moglie). Lui, lavoratore,  è rimasto piuttosto semplice, a lei il benessere ha dato alla testa e ‘ordina’ lui di insegnarsi (imperativo di qualcosa che non si impara, ma ci si auto-impone) a parlare con ‘classe’ come lei, e abbandonare le abitudini tradizionali (brioscia e granita) in favore di altre più ‘esotiche’ e meno provinciali (sorbetto e lemonsoda). Anche i nomi dei personaggi non sono casuali, come lei stessa dice in una presentazione del brano, ‘Giusy con la y’ sta con ‘Turi senza y’. Giusy cioè, rinuncia al suo nome tradzionale Giuseppina in favore di un diminuitivo (anche piuttosto diffuso) che inserisca la ‘y’. Un po’ come Cesy Phantoni, il personaggio della canzone Cesira Fantoni di Guccini.

Sugnu sempre alla finestra e viru genti spacinnata,
sduvacata ‘nte panchini di la piazza, stuta e adduma a sigaretta,
gente ca s’ancontra e dici “ciao” cu na taliata,
genti ca s’allasca, genti ca s’abbrazza e poi si vasa,
genti ca sa fa stringennu a cinghia, si strapazza e non si pinna,
annunca st’autru ‘nvernu non si canta missa,
genti ca sa fa ‘lliccannu a sadda,
ma ci fa truvari a tavula cunsata a cu cumanna

Sono sempre alla finestra e vedo gente sfaccendata,
stravaccata nelle panchine della piazza, spegne e accende la sigaretta,
gente che s’incontra e dice “ciao” con uno sguardo
gente che si evita e quella che si abbraccia e si bacia
Gente che tira avanti stringendo la cinta, si strapazza e non si arrende
altrimenti il prossimo inverno non si canta messa
gente che tira avanti leccandosi la sarda
ma che fa trovare la tavola apparecchiata a chi comanda.

Qui il termine sfaccinata più che gente pigra, indica gente che non ha un granchè da fare. Anche la gente sduvacata che fuma costantemente indica la gente (pigra o disoccupata) perdigiorno. Si salutano solo con sguardo, come se quando ci si vede troppo spesso il saluto diventa superfluo, indicando una città non troppo grande dove nei soliti posti ci trovi la solita gente. Altri che si vedono più di rado o con più piacere si salutano più calorosamente, segno di un legame molto forte, tipico del meridione.

Seguono due modi di dire interessanti. Il primo non si canta missa deriva da u parrino senzza sordi unni canta missa. Cioè che senza soldi neanche il prete celebra la messa. La seconda è ‘llicari a sarda, che significa che, pur essendo la sardina un piatto povero, in casi di estrema povertà o di carestia, piuttosto che mangiarla si preferisce leccarla e conservarla ripetutamente, per farla durare di più.

Qui la prima denuncia sociale, quella del divario tra ricchi e poveri che in questi ultimi anni si sta accentuando (e non solo in sicilia).

Chi ci aviti di taliari, ‘un aviti autru a cui pinsari
almeno un pocu di chiffari
“Itavinni a travagghiari” vannia ‘n vecchiu indispettitu,
“avemu u picciu arreri o vitru”.
Jù ci dicu “m’ha scusari, chista è la me casa e staju unni mi pare.

“Che ha da guardare? non ha altro a cui pensare?
almeno un po’ di da fare?
Vada a lavorare – grida un vecchio indispettito –
c’è il malocchio dietro i vetri!”
Io dico: “Mi deve scusare, ma a casa mia sto dove mi pare”

Qui, nel ritornello, uno dei vecchi bisbetici di cui sopra urla alla cantante come ad accusarla di pigrizia e di essere pettegola.

La domenica mattina dagli altoparlanti della chiesa
a vuci ‘i Patri Coppola n’antrona i casi, trasi dintra l’ossa
“piccaturi rinunciati a ddi piccati di la carni
quannu u riavulu s’affaccia rafforzatevi a mutanna”.
Quannu attagghiu di la chiesa si posteggia un machinone
scinni Saro Branchia detto Re Leone
Patri Coppola balbetta e ammogghia l’omelia cu tri paroli
picchì sua Maestà s’ha fari a comunioni

La domenica mattina dagli altoparlanti della chiesa
la voce di padre Coppola ci fa tremare le case, ci entra nelle ossa:
“Peccatori rinunciate a quei peccati della carne
quando il diavolo si mostra rinforzatevi le mutande”
d’un tratto si parcheggia vicino la chiesa un macchinone
scende Saro Branchia detto Re Leone,
padre Coppola balbetta, chiude con tre parole l’omelia
perché sua Maestà si deve fare la comunione!

La seconda critica sociale si rivolge alla chiesa, molto attenta ad entrare nel personale di ognuno imponendone la condotta sessuale, ma scarsamente attenta nei confronti del disagio sociale, forse perché accondiscendente con il potere costituito.

Ancora peggio, quando la macchina del boss locale pargheggia attagghiu (in maniera tangente) alla chiesa, il parroco, che poco prima imponeva la sua autorità entrando nelle case e nell’intimo nei cittadini, con estrema sudditanza ammogghia ( sistema la cosa in maniera precaria o arrangiata ) l’omelia per permettere al boss di fare la comunione. Sottointesa qui, non solo la convivenza di certa chiesa con la mafia, ma anche l’attaccamento contraddittorio della mafia stessa verso la religione. L’argomento è complesso e andrebbe approfondito, e vi sono esempi estremamente opposti.

Chi ci aviti di taliari, ‘un aviti autru a cui pinsari
almeno un pocu di chiffari
“Itavinni un pocu a mari”, vannia un vecchiu tintu
“accussì janca mi pariti ‘n spiddu”
Jù ci dicu “m’ha scusari,
ma picchì hati a stari ccà sutta a me casa pà ‘nsuttari”.

” Che ha da guardare? non ha altro a cui pensare?
almeno un po’ di da fare?
Se ne vada un po’ al mare – grida un vecchio malconcio e tosto –
così bianca sembra un fantasma “
Io gli dico ” Mi deve scusare,
ma perché deve stare sotto casa mia a insultare? “

Nel secondo ritornello, il significato è chiaro, tuttavia vale la pena di approfondire l’uso di alcuni vocaboli. Spiddu per esempio non appartiene a tutte le varianti del siciliano e il verbo ‘nsuttari non è necessariamente insultare ma un infastidire generico.

Sugnu sempri alla finestra e viru a ranni civiltà
ca ha statu, unni Turchi, Ebrei e Cristiani si stringeunu la manu,
tannu si pinsava ca “La diversità è ricchezza”
tempi di biddizza e di puisia, d’amuri e di saggezza
Zoccu ha statu aieri, oggi forsi ca putissi riturnari
si truvamu semi boni di chiantari
‘Nta sta terra ‘i focu e mari oggi sentu ca mi parra u cori
e dici ca li cosi stannu pì canciari

Sono sempre alla finestra e vedo la grande civiltà che c’è stata,
dove turchi, ebrei e cristiani si stringevano la mano,
allora si pensava che ‘la diversità è ricchezza’
tempi di bellezza e di poesia, d’amore e di saggezza
Quel che è stato ieri oggi forse potrebbe tornare
se troviamo i semi buoni da piantare
in questa terra di fuoco e di mare oggi sento che mi parla il cuore
e dice che le cose stanno per cambiare..

Nel finale uno sguardo d’insieme alla civiltà che è stata e alle enormi contaminazioni culturali. Un seme di speranza e di positività quasi a dire che, a differenza di come crede qualcuno, la Sicila non è come il suo idioma, dove il passato è remoto e il futuro non esiste.

Chi ci aviti di taliari ‘un aviti autru a cui pinsari,
almeno un poco di chiffari
Itavinni a ballari, ittati quattru sauti e nisciti giustu pì sbariari
Jù ci dicu “Cù piaciri, c’è qualchi danza streusa ca vuliti cunsigghiari!?

“Che ha da guardare? non ha altro a cui pensare?
almeno un po’ di da fare?
Vada a ballare, va’ a fare quattro salti ed esca giusto per svagarsi! “
Gli rispondo con piacere: ” C’è qualche danza bizzarra che mi vuole consigliare?!?”

Umili Liriche

musica, appunti e riflessioni sull'universo conosciuto